La donna al centro del processo flop imbastito dall’ex pm di Catanzaro ora rischia di finire sul banco degli imputati «Non ho pilotato nessuna indagine, ho seguito le sue indicazioni. Su questa vicenda serve una commissione d’inchiesta»
Gian Marco Chioocci de il Giornale di Domenica 7 Novembre 2010
Da supertestimone a indagata, prossimamente imputata. Destino giudiziario infausto per Caterina Merante, 41 anni, ex direttrice della società Why Not, che con le sue dirompenti rivelazioni aiutò non poco l’allora pubblico ministero di Catanzaro, Luigi De Magistris, a incardinare il mastodontico processo flop che, per l’appunto, porta il nome della società collegata alla Compagnia delle Opere sospettata di intrallazzi con la politica locale e nazionale. La sentenza del Gup che ha disintegrato il castello accusatorio dell’attuale eurodeputato Idv fa a pezzi anche lei definendola il « dominus » del procedimento penale con 110 indagati e solo 8 condannati, inattendibile dichiarante, ammaliatrice di carabinieri al punto da imporre al sottufficiale che seguiva le indagini quali accertamenti fare e chi sentire. La Merante dovrà ora difendersi da tredici capi di imputazione. Lei, ovviamente, non ci sta. Ha deciso di parlare col Giornale affiancata dall’avvocato Noemi Balsamo. Quel che segue è lo sfogo di una cittadina ferita, di una testimone tradita, abbandonata al suo destino, a cominciare da quella toga che lei reputava «diversa» e che grazie a Why Not s’è dimostrata invece «uguale» a tutte le altre che hanno fatto carriera politicizzando le inchieste.
Signora Merante, da testimone eccellente a indagata per reati gravi. Come se lo spiega?
«Mi sono rivolta alla giustizia con grande fiducia, ho collaborato lealmente riferendo circostanze precise. Per due anni e mezzo sono stata interrogata molteplici volte da almeno cinque procure e nessuno mi ha contestato un reato, eppure sin dall’inizio di questa vicenda l'unica persona messa seriamente sotto processo è stata proprio il testimone. Sono stata perfino intercettata al telefono con mia madre, con mio marito, con le mie amiche. Senza risultato. Oggi il Gup, manda gli atti relativamente a me in procura, e quindi ricomincia il calvario. Non capisco, ma mi adeguo. Più di qualcosa nel sistema giustizia non funziona».
Il giudice fa riferimento al suo rapporto amichevole, diciamo amicale, forse più che confidenziale, con un maresciallo dei carabinieri che seguiva l’inchiesta su incarico di De Magistris. E alle intercettazioni integralmente riportate nella sentenza il giudice dedica ben 150 pagine per dire che la signora Merante ha pilotato personalmente le indagini. Non è un’accusa da poco.
«No, non lo è, anzi, come vede non ci si è limitati a lasciare intendere che sono una delinquente, ed è questa la cosa che mi ha amareggiata di più. Eppure la verità la sanno in molti, ma tutti tacciono. Mi spiego: se io interloquivo telefonicamente con questo maresciallo dei carabinieri era perché avevo avuto precise indicazioni dall’allora pm De Magistris, il quale diede indicazioni di prendere due telefoni con i quali avremmo interloquito solo io e la sua polizia giudiziaria, appunto. Più di una volta, mi sono rivolta al pm De Magistris per sottoporgli le mie perplessità circa queste modalità di indagini telefoniche e non solo. Di fronte al mio disagio il pm De Magistris mi ha sempre risposto che il maresciallo era l’unica persona della quale ci si potesse fidare. Mi sono fidata e guarda in che razza di guaio mi ritrovo, nel silenzio assordante di tutti».
Scusi, ma da quando in qua un pm «delega» le indagini a un testimone?
«Ma io l’ho fatto presente al pm De Magistris! E sono arrivata, come risulta in atti, a denunziare in procura il maresciallo, l’ho fatto nel 2008, quindi in tempi non sospetti. Il dottor Pierpaolo Bruni alla presenza del maggiore Grazioli (poi coinvolto in una brutta storia giudiziaria) decise di allontanarlo con effetto immediato dalle indagini. Ma le sorprese non finirono. A distanza di pochi mesi quello stesso maresciallo venne richiamato in Why Not. Indovini da chi? Dai pm che ci intercettavano. Ho le prove che quanto lasciato intendere nella sentenza non corrisponde alla verità. Io non ho pilotato nessuna indagine, erano altri, forse, che attraverso la mia buonafede, le pilotavano per motivi loro. Chiaro?».
Chiaro.
«Piuttosto mi chiedo come mai l’europarlamentare De Magistris su Why Not pensi solo a difendere se stesso, e non una cittadina che si è affidata completamente a lui per riferire, anche nei modi sopra denunciati, determinate situazioni. Mi chiedo perché, nel momento in cui vede che un giudice scrive cose pesantissime sulla sottoscritta su circostanze gravi e delicate di cui lui è perfettamente a conoscenza, non intervenga per dire la verità. Mi chiedo perché resta in silenzio lasciando che i media distruggano me che sono l’ultima ruota del carro. Mi chiedo perché risponda al Gup su ben altre cose e non su questo “particolare” delle indagini telefoniche. Mi sembra un comportamento disumano ».
Si sente scaricata? Usata?
«Non posso dire di esser stata scaricata da una persona a cui non ho mai chiesto di prendermi a carico. Mi sono rivolta alla giustizia e mi sono ritrovata per caso De Magistris nel quale, come molti, ho nutrito grande fiducia. Poiché quel magistrato, però, oggi occupa una poltrona importante ritengo che da politico dovrebbe avere a cuore i cittadini e a maggior ragione i testimoni che si sono affidati a lui e che mai avrebbero potuto immaginare ciò che è accaduto nel prosieguo».
Tornasse indietro rifarebbe tutto?
Rifarei tutto perché ho agito in totale buonafede. Piuttosto insisterei sulla ricusazione del giudice perché colei che è stata la tua compagna di banco a scuola, per forza di cose, rischia di non essere imparziale, nel bene e nel male. Ragioni di opportunità avrebbero dovuto suggerirle di astenersi da questo giudizio ed anzi cogliere l’istanza di sfiducia nei suoi confronti come un’opportunità per tirarsi fuori da una situazione imbarazzante. Lei pensi che ho conosciuto il marito nella sede della Compagnia delle Opere, dove egli si recava per chiedere finanziamenti a Saladino».
Si dice che lei si sia arricchita a dismisura con questa storia di Why Not. Quaranta milioni di euro di fatturato… «( risata ) Forse quel che non si sa, è che l’unica persona a subire un invasivo accertamento patrimoniale sono stata io. Quaranta milioni di euro? Saranno i contratti che ha ricevuto globalmente il consorzio Brutium, non sono certo finiti nelle mie tasche».
Che idea si è fatta di quest' inchiesta mastodontica che è diventata un caso politico per aver buttato giù un governo, ipotizzato scenari massonici mai dimostrati, rovinato un sacco di gente poi risultata innocente?
«Mi sono resa conto dell’incredibile piega che stava prendendo l’inchiesta nel momento in cui il ministro Mastella trasferì il pm De Magistris, tanto che scrissi una lettera pubblica nella quale preannunciavo quanto sarebbe accaduto e che ormai era troppo tardi per rimediare».
Si riferisce alla lettera in cui diceva a Mastella che aveva fatto male a togliere l’indagine a De Magistris il quale, con tutto il materiale che aveva a disposizione, non aveva ancora chiuso le indagini?
«Quella, sì. E non ho cambiato idea. Perché ritengo che se ognuno di noi facesse fino in fondo il proprio dovere, rispettando il proprio ruolo, è certo che le cose per i cittadini andrebbero diversamente. Credo che non sia utile personalizzare le inchieste. Ecco perché ritengo che la proposta di una commissione d’inchiesta su questa vicenda sia assolutamente auspicabile affinché si possa verificare chi ha agito correttamente esercitando il proprio ruolo, e chi invece lo ha fatto utilizzando il codice di procedura penale come un’arma impropria».
Si sarebbe mai immaginata che De Magistris avrebbe lasciato la toga per la politica?
«No, almeno fino ad un certo punto. Resto sorpresa dai suoi attacchi politici a Berlusconi, che alla fine denunzia, esattamente come lui, la presenza di magistrati corrotti e deviati nelle Procure».
Lei ha puntato l'indice sull’imputato Antonio Saladino considerato da De Magistris il deus ex machina del malaffare calabrese. Chiunque ha avuto a che fare con Saladino, anche solo per una volta, è finito nei guai. Come mai il nome di Antonio Di Pietro, che poi arruolerà De Magistris nell’Idv, nonostante alcuni contatti con Saladino non venne mai fuori?
«È una domanda che mi ha già posto Santoro, tra l'altro con Di Pietro in studio. Non ne parlai perché nessuno mi fece una domanda sul punto. Avrei detto tranquillamente che c’era stato un incontro fra Di Pietro e Saladino».
Non le sembra di aver esagerato parlando della fantasmagorica loggia di San Marino?
«Eh no, nessuna loggia. Io parlai di un comitato d’affari a San Marino, le indagini su questo le ha fatte il maggiore che chiedeva raccomandazioni a chi io avevo denunziato. Della massoneria deviata occorre chiedere a Luigi De Magistris, non certo a me».
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it
Gian Marco Chioocci il Giornale di Domenica 7 Novembre 2010
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