Potete leggerlo o scaricarlo qui sotto da Scribd
SISTEMA ROMEO O TEOREMA ROMEO?
mercoledì 16 luglio 2014
Il Libro del Blog
Potete leggerlo o scaricarlo qui sotto da Scribd
venerdì 11 luglio 2014
La Cassazione da ragione a questo piccolo Blog
Contro la corruzione si ricomincia da Romeo
lunedì 18 giugno 2012
Romeo d'amore d'accordo con il Sindaco, ma non con tutta la giunta
Ora Alfredo Romeo è già padrone di un bel pezzo di Napoli. Napoli gli deve 50 milioni sono soldi suoi guadagnati legittimamente. per non pagare penali propone al comune una cogestione vantaggiosa per le casse del comune e per il risanamento della Città: il sindaco coglie la palla al balzo , ma non tuta la giunta sembra starci. Si tratta di cessione di immobili e insieme risanamento gratuito di un'area. In tempi certi
De Magistris ha capito che a condividere il potere per finalità buone con Romeo, come con qualunque altri imprenditore è meglio che fare la caccia alla streghe. Tanto più che da semper il servizio garantito dalla Romeo con la riscossione dei fitti degli immobili comunali è l'unica fonte di approvvigionamento e sopravvivenza della città.
Basta sparate e anzi, ex carceriere ed ex carcerato (ingiustamente) avviano una Joint Venture: sfumano i proclami della gazzette delle manette: Ma come si è sempre detto se fai il puro trovi sempre uno più puro di te che ti epura. Per ora i nemici di questa intesa e di ogni cambiamento rilevante stanno acquattati tra i signori delle burocrazia e delle delibere. Gli stessi che hanno sempre fatto danni al comune e alla fine dei processi sanato debiti con Romeo. Romeo ha vergato una lettera di fuoco. Il comune per ora lo difende. Contro la ragione oltre agli oltranzisti della legalità , ci sono anche i "fasci" di casa Pound. Per ora la coppia Romeo de Magistris è in vantaggio.
Vedremo.
sabato 31 marzo 2012
martedì 20 marzo 2012
martedì 9 novembre 2010
lunedì 8 novembre 2010
GIUSTIZIA E POLITICA LA TESTIMONE CHIAVE DI «WHY NOT» CATERINA MERANTE
La donna al centro del processo flop imbastito dall’ex pm di Catanzaro ora rischia di finire sul banco degli imputati «Non ho pilotato nessuna indagine, ho seguito le sue indicazioni. Su questa vicenda serve una commissione d’inchiesta»
Gian Marco Chioocci de il Giornale di Domenica 7 Novembre 2010
Da supertestimone a indagata, prossimamente imputata. Destino giudiziario infausto per Caterina Merante, 41 anni, ex direttrice della società Why Not, che con le sue dirompenti rivelazioni aiutò non poco l’allora pubblico ministero di Catanzaro, Luigi De Magistris, a incardinare il mastodontico processo flop che, per l’appunto, porta il nome della società collegata alla Compagnia delle Opere sospettata di intrallazzi con la politica locale e nazionale. La sentenza del Gup che ha disintegrato il castello accusatorio dell’attuale eurodeputato Idv fa a pezzi anche lei definendola il « dominus » del procedimento penale con 110 indagati e solo 8 condannati, inattendibile dichiarante, ammaliatrice di carabinieri al punto da imporre al sottufficiale che seguiva le indagini quali accertamenti fare e chi sentire. La Merante dovrà ora difendersi da tredici capi di imputazione. Lei, ovviamente, non ci sta. Ha deciso di parlare col Giornale affiancata dall’avvocato Noemi Balsamo. Quel che segue è lo sfogo di una cittadina ferita, di una testimone tradita, abbandonata al suo destino, a cominciare da quella toga che lei reputava «diversa» e che grazie a Why Not s’è dimostrata invece «uguale» a tutte le altre che hanno fatto carriera politicizzando le inchieste.
Signora Merante, da testimone eccellente a indagata per reati gravi. Come se lo spiega?
«Mi sono rivolta alla giustizia con grande fiducia, ho collaborato lealmente riferendo circostanze precise. Per due anni e mezzo sono stata interrogata molteplici volte da almeno cinque procure e nessuno mi ha contestato un reato, eppure sin dall’inizio di questa vicenda l'unica persona messa seriamente sotto processo è stata proprio il testimone. Sono stata perfino intercettata al telefono con mia madre, con mio marito, con le mie amiche. Senza risultato. Oggi il Gup, manda gli atti relativamente a me in procura, e quindi ricomincia il calvario. Non capisco, ma mi adeguo. Più di qualcosa nel sistema giustizia non funziona».
Il giudice fa riferimento al suo rapporto amichevole, diciamo amicale, forse più che confidenziale, con un maresciallo dei carabinieri che seguiva l’inchiesta su incarico di De Magistris. E alle intercettazioni integralmente riportate nella sentenza il giudice dedica ben 150 pagine per dire che la signora Merante ha pilotato personalmente le indagini. Non è un’accusa da poco.
«No, non lo è, anzi, come vede non ci si è limitati a lasciare intendere che sono una delinquente, ed è questa la cosa che mi ha amareggiata di più. Eppure la verità la sanno in molti, ma tutti tacciono. Mi spiego: se io interloquivo telefonicamente con questo maresciallo dei carabinieri era perché avevo avuto precise indicazioni dall’allora pm De Magistris, il quale diede indicazioni di prendere due telefoni con i quali avremmo interloquito solo io e la sua polizia giudiziaria, appunto. Più di una volta, mi sono rivolta al pm De Magistris per sottoporgli le mie perplessità circa queste modalità di indagini telefoniche e non solo. Di fronte al mio disagio il pm De Magistris mi ha sempre risposto che il maresciallo era l’unica persona della quale ci si potesse fidare. Mi sono fidata e guarda in che razza di guaio mi ritrovo, nel silenzio assordante di tutti».
Scusi, ma da quando in qua un pm «delega» le indagini a un testimone?
«Ma io l’ho fatto presente al pm De Magistris! E sono arrivata, come risulta in atti, a denunziare in procura il maresciallo, l’ho fatto nel 2008, quindi in tempi non sospetti. Il dottor Pierpaolo Bruni alla presenza del maggiore Grazioli (poi coinvolto in una brutta storia giudiziaria) decise di allontanarlo con effetto immediato dalle indagini. Ma le sorprese non finirono. A distanza di pochi mesi quello stesso maresciallo venne richiamato in Why Not. Indovini da chi? Dai pm che ci intercettavano. Ho le prove che quanto lasciato intendere nella sentenza non corrisponde alla verità. Io non ho pilotato nessuna indagine, erano altri, forse, che attraverso la mia buonafede, le pilotavano per motivi loro. Chiaro?».
Chiaro.
«Piuttosto mi chiedo come mai l’europarlamentare De Magistris su Why Not pensi solo a difendere se stesso, e non una cittadina che si è affidata completamente a lui per riferire, anche nei modi sopra denunciati, determinate situazioni. Mi chiedo perché, nel momento in cui vede che un giudice scrive cose pesantissime sulla sottoscritta su circostanze gravi e delicate di cui lui è perfettamente a conoscenza, non intervenga per dire la verità. Mi chiedo perché resta in silenzio lasciando che i media distruggano me che sono l’ultima ruota del carro. Mi chiedo perché risponda al Gup su ben altre cose e non su questo “particolare” delle indagini telefoniche. Mi sembra un comportamento disumano ».
Si sente scaricata? Usata?
«Non posso dire di esser stata scaricata da una persona a cui non ho mai chiesto di prendermi a carico. Mi sono rivolta alla giustizia e mi sono ritrovata per caso De Magistris nel quale, come molti, ho nutrito grande fiducia. Poiché quel magistrato, però, oggi occupa una poltrona importante ritengo che da politico dovrebbe avere a cuore i cittadini e a maggior ragione i testimoni che si sono affidati a lui e che mai avrebbero potuto immaginare ciò che è accaduto nel prosieguo».
Tornasse indietro rifarebbe tutto?
Rifarei tutto perché ho agito in totale buonafede. Piuttosto insisterei sulla ricusazione del giudice perché colei che è stata la tua compagna di banco a scuola, per forza di cose, rischia di non essere imparziale, nel bene e nel male. Ragioni di opportunità avrebbero dovuto suggerirle di astenersi da questo giudizio ed anzi cogliere l’istanza di sfiducia nei suoi confronti come un’opportunità per tirarsi fuori da una situazione imbarazzante. Lei pensi che ho conosciuto il marito nella sede della Compagnia delle Opere, dove egli si recava per chiedere finanziamenti a Saladino».
Si dice che lei si sia arricchita a dismisura con questa storia di Why Not. Quaranta milioni di euro di fatturato… «( risata ) Forse quel che non si sa, è che l’unica persona a subire un invasivo accertamento patrimoniale sono stata io. Quaranta milioni di euro? Saranno i contratti che ha ricevuto globalmente il consorzio Brutium, non sono certo finiti nelle mie tasche».
Che idea si è fatta di quest' inchiesta mastodontica che è diventata un caso politico per aver buttato giù un governo, ipotizzato scenari massonici mai dimostrati, rovinato un sacco di gente poi risultata innocente?
«Mi sono resa conto dell’incredibile piega che stava prendendo l’inchiesta nel momento in cui il ministro Mastella trasferì il pm De Magistris, tanto che scrissi una lettera pubblica nella quale preannunciavo quanto sarebbe accaduto e che ormai era troppo tardi per rimediare».
Si riferisce alla lettera in cui diceva a Mastella che aveva fatto male a togliere l’indagine a De Magistris il quale, con tutto il materiale che aveva a disposizione, non aveva ancora chiuso le indagini?
«Quella, sì. E non ho cambiato idea. Perché ritengo che se ognuno di noi facesse fino in fondo il proprio dovere, rispettando il proprio ruolo, è certo che le cose per i cittadini andrebbero diversamente. Credo che non sia utile personalizzare le inchieste. Ecco perché ritengo che la proposta di una commissione d’inchiesta su questa vicenda sia assolutamente auspicabile affinché si possa verificare chi ha agito correttamente esercitando il proprio ruolo, e chi invece lo ha fatto utilizzando il codice di procedura penale come un’arma impropria».
Si sarebbe mai immaginata che De Magistris avrebbe lasciato la toga per la politica?
«No, almeno fino ad un certo punto. Resto sorpresa dai suoi attacchi politici a Berlusconi, che alla fine denunzia, esattamente come lui, la presenza di magistrati corrotti e deviati nelle Procure».
Lei ha puntato l'indice sull’imputato Antonio Saladino considerato da De Magistris il deus ex machina del malaffare calabrese. Chiunque ha avuto a che fare con Saladino, anche solo per una volta, è finito nei guai. Come mai il nome di Antonio Di Pietro, che poi arruolerà De Magistris nell’Idv, nonostante alcuni contatti con Saladino non venne mai fuori?
«È una domanda che mi ha già posto Santoro, tra l'altro con Di Pietro in studio. Non ne parlai perché nessuno mi fece una domanda sul punto. Avrei detto tranquillamente che c’era stato un incontro fra Di Pietro e Saladino».
Non le sembra di aver esagerato parlando della fantasmagorica loggia di San Marino?
«Eh no, nessuna loggia. Io parlai di un comitato d’affari a San Marino, le indagini su questo le ha fatte il maggiore che chiedeva raccomandazioni a chi io avevo denunziato. Della massoneria deviata occorre chiedere a Luigi De Magistris, non certo a me».
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it
Gian Marco Chioocci il Giornale di Domenica 7 Novembre 2010
lunedì 25 ottobre 2010
Così risponde sul suo Blog De magistris agli esiti del procedimento
Pertanto é falso imputarmi l´esito di quel procedimento". Allora non è stato lui ad avviare l'indagine ?
"Se si sottrae a un architetto il progetto per la realizzazione di un´abitazione, poi non possiamo prendercela con lui se la casa é il risultato del lavoro di un altro architetto". Da architetto anche il termine " architettare" che non dovrebbe nemmeno immaginarsi per l'accertamento di fatti giuridici .
Ancora "Prima tolgono di mezzo i magistrati, scegliendo quelli che "vanno bene", e poi se la prendono con gli estromessi. Una porcata piduista" . Che cosa la sentenza, alla faccia dell'equilibrio
Ancora : "Mastella è un bugiardo ....E´ bene cominciare a rendere pubblici gli atti delle inchieste. Lo stesso giudice Mellace - il cui nominativo emerge negli atti delle indagini della Procura di Salerno - non appare certo come la persona più idonea per espletare quel processo....uno zio della Mellace, mi riferirono i miei collaboratori dell´epoca della polizia giudiziaria, fu anche vittima di un omicidio. Insomma contesti torbidi"
Insomma De Magistris cerca di gettare fango sul giudice che gli ha dato torto , usando le attività imprenditoriali del marito fatto passare per un criminale e notizie riferite su uno zio omicida...e in uno sproloquio lunghissimo si scaglia violentemente contro magistrati, CSM, politici , mafiosi e conclude come sempre con l'appello alla rivoluzione.
Nel suo blog ci sono fan osannanti che chiedono il sangue di chiunque non sia d'accordo , ma anche domande nel merito della sentenza del giudice Mellace , cui nel merito non risponde.
Perchè come già ha spiegato una volta che si è tolta l'idagine all'archittetto ...non si può chiedergli di rieponderne
De magistris "il Giornale", firmato da Gian Marco Chiocci
La madre di tutte le inchieste ha partorito un’inchiesta senza capo né coda, «un’affascinante rappresentazione di inquietanti realtà occulte di poteri superiori». É la celeberrima «Why Not», istruita dall’ex pm catanzerese Luigi De Magistris, oggi parlamentare Idv, immaginata per abbattere il malaffare calabrese costituito da una sorta di Spectre sovrastrutturale - per dirla con l’ex portavoce della Marcegaglia - collegata a politici corrotti, avidi imprenditori, servizi deviati, massoneria occulta, toghe colluse. Un flop investigativo che portò alle dimissioni dell’allora Guardasigilli Clemente Mastella, alla caduta del governo Prodi, allo scontro fra le procure di Salerno e Catanzaro, alla carriera politica della toga che non voleva fare politica. Un procedimento che stando alle 944 pagine di motivazioni della sentenza emessa dal gup Abigail Mellace ha cercato solo la pubblicità dei media puntando sempre più in alto senza perseguire, dal basso, quei reati addebitabili al consorzio Brutium e alla società Why Not che risultavano solari sin dalle primissime fasi delle indagini preliminari. Un fiasco, insomma, che è costato all’erario decine di milioni di euro (9 solo in consulenze) e che ha procurato danni gravi a oltre 150 persone indagate e sputtanate a mezzo stampa, alle 34 al dunque rinviate a giudizio, alle 26 assolte. Tanto rumore per nulla: 8 condanne, e basta.
IL CLAMORE DEI MEDIA E LA VERITA’ TELEVISIVA
Leggiamole, dunque, le pagine che disintegrano l’operato di Luigi De Magistris. Per il gup Mellace l’inchiesta Why Not è figlia dell’enorme «risalto mediatico che il procedimento ha avuto soprattutto nella fase delle indagini preliminari e che ha portato alla ribalta nazionale i suoi principali protagonisti divenuti nel frattempo veri e propri personaggi pubblici televisivi di grande notorietà». Ciò ha condotto, inevitabilmente, «a una distorta e infedele rappresentazione dall’esterno delle reali e obiettive risultanze delle fonti di prova». Un clamore che ha offuscato le finalità di un’inchiesta giustamente «salutata come la prima condanna di un sistema politico che mirava alla realizzazione dei propri interessi» collegati all’accaparramento illecito di fondi regionali. L’obiettivo iniziale, insiste il gup, «nel corso delle indagini è stato abilmente seppellito da chi aveva interesse a farlo, sotto una miriade di dichiarazioni, propalazioni, coraggiose rivelazioni volte a rappresentare la molto più avvincente, inquietante “televisiva” realtà di associazioni segrete, logge deviate, congiure di palazzo, accordi clandestini che dapprima operavano occultamente per monopolizzare la gestione degli appalti e delle risorse e che poi, a indagine avviata, tramavano per distruggere ed annientare da un punto di vista economico e di credibilità chi aveva avuto invece il coraggio di denunciare la realtà del malaffare».
LA SPECTRE SOVRASTRUTTURALE
L’ipotesi investigativa, tirate le somme, «non ha trovato alcun conforto probatorio essendo stato sconfessata già nella fase delle indagini preliminari» ed anzi «ha impedito di analizzare con la necessaria obiettività i vari e inconfutabili elementi di prova che emergevano sin da subito» nei confronti degli appalti e dei progetti concessi a Brutium e Why Not «in palese violazione di legge». Il panorama della Spectre transnazionale immaginato dall’ex pm «dopo anni di lunghe e costose indagini» non ha trovato «alcun conforto probatorio essendo stato sconfessato già nella fase preliminare».
DUE SUPERTESTIMONI «INCREDIBILI» E INATTENDIBILI
E che dire, poi, del testimone Giuseppe Tursi Prato i cui racconti appaiono «incredibili», «inconsistenti», finalizzati «a ottenere un beneficio personale», indirizzati a colpire alcuni magistrati che avevano redatto la sua condanna. E di Caterina Merante, supertestimone e architrave dell’inchiesta Why Not, indagata al contempo dalla procura di Paola?
PSICOFARMACI AI DIPENDENTI E L’ASSE COL MARESCIALLO
Il gup ha trasmesso gli atti alla procura generale per il mendacio e per l’«incredibile rapporto personale e confidenziale» col maresciallo che le è stato sempre vicino. «Un rapporto che ha inciso pesantemente sulla modalità di conduzione delle prime indagini, inquinando in modo irreversibile la genuinità di importanti risultanze investigative, rendendole radicalmente inutilizzabili». La signora voleva passare per debole «e soggiogata», quand’invece al telefono (intercettato) «coltivava una serie di rapporti con tutti quei soggetti che potevano, anche inconsapevolmente, coadiuvarla nel suo progetto».
VERBALI SCOMPARSI MAI REDATTI O MODIFICATI
Soggetti come il sottufficiale dell’Arma che per «gli atti più delicati» si affidava completamente a lei «attenendosi in primo luogo agli ordini della testimone e cercando, a tutti i costi, di trovare elementi di conferma della credibilità del suo narrato (...)». Di più. «La informava pedissequamente sugli sviluppi delle indagini», e la stessa «indicava al maresciallo i nominativi e gli indirizzi dei soggetti nei cui confronti dovevano essere dirette le investigazioni». In un caso un verbale della Merante non risulta mai redatto. In un altro «è stato completamente modificato, con l’aggiunta di fatti, dichiarazioni, precisazioni che spesso modificano completamente il significato delle prime dichiarazioni». Concludendo: «L’intero castello accusatorio della Merante è crollato in toto», ed è crollato anche il riferimento alla suggestiva loggia segreta di San Marina piena di «fratelli» politici. «Le dichiarazioni della Merante sono state ritenute inattendibili, non solo in quanto intrinsecamente incredibili, ma perché smentite dagli esiti delle attività investigative di riscontro compiute dagli inquirenti». Come quelle che attribuivano al feroce Saladino, al secolo Antonio Saldino, superiore gerarchico della Merante in Why Not, considerato da De Magistris il vero dominus dell’inchiesta, il ruolo di procacciatore di psicofarmaci da somministrare ai dipendenti. I quali, presi a verbale, hanno ovviamente smentito.
Come se non bastasse anche la contestazione del reato associativo cavalcata da De Magistris, basata su migliaia di intercettazioni telefoniche, è miseramente crollata: «Le risultanze captative - chiosa il gip - non forniscono alcuna prova dell’esistenza del sodalizio descritto al capo uno (riferito, appunto, all’associazione per delinquere, ndr) non ricavandosi dai colloqui intercettati la dimostrazione degli elementi costitutivi oggettivi di una qualsivoglia associazione dotata dei requisiti minimi strutturali previsti dall’articolo 416 bis». Se è vero che Saladino aveva rapporti coi politici che gli chiedevano posti di lavoro, è anche vero che ognuno di loro sollecitava assunzioni a titolo personale, senza dare nulla in cambio e soprattutto senza far parte del medesimo gruppo di potere ipotizzato e perseguito dal pm Luigi De Magistris